Oltre la produzione snella
Finita l’epoca del just-in-time, la produzione si basa sull’iper-sfruttamento parcellizzato e sulla logistica. Ma chi lotta sui luoghi di lavoro deve sapere che i nodi di queste reti padronali sono vulnerabili
Per trentacinque anni, il lean management ha guidato la produzione e la circolazione delle merci. Ma adesso gli imprenditori della logistica e del settore manifatturiero stanno passando a un nuovo modello. I lavoratori dovrebbero prenderne atto, per rafforzare le loro lotte.
La produzione snella, introdotta negli anni Ottanta dalle case automobilistiche giapponesi, ha preso piede in molte industrie statunitensi. Si trattava di un insieme di tecniche per massimizzare il profitto, tra cui l’aumento dei carichi di lavoro e del ritmo fino al punto di rottura, e l’invito ai lavoratori a riflettere su modi per aumentare il proprio sfruttamento.
Una componente centrale era la consegna just-in-time (Jit), per cui le aziende non spendevano per fare extra o immagazzinare nulla finché non era necessario. Anche all’interno di uno stabilimento, i ricambi e le forniture sarebbero arrivati esattamente nel posto e nel momento giusto e nelle quantità necessarie. La produttività manifatturiera negli Stati uniti è aumentata di circa il 4% all’anno fino alla Grande recessione del 2008-2010. Ma poi è crollata, a causa dell’esaurimento della produzione snella e della sua tecnologia. L’aumento annuale della produttività manifatturiera è stato rimandato al 2019. È aumentato di nuovo nel 2021 con l’attenuarsi della pandemia, per poi diminuire nuovamente nel 2022 e nel 2023.
I metodi di «gestione dello stress» non funzionavano più. La «produttività multifattoriale», una misura del Bureau of Labor Statistics che misura l’impatto dei progressi tecnologici, della razionalizzazione dell’organizzazione e dell’aumento dello sforzo dei lavoratori e dell’efficienza gestionale, è scesa dopo il 2010 al livello più basso dagli anni Settanta, periodo di crisi e pre-produzione snella.
Neanche la tecnologia è riuscita a migliorare la produzione. Uno studio del 2020 dell’Organizzazione internazionale del lavoro sugli stabilimenti automobilistici negli Stati uniti, in Germania e in Cina ha rilevato che l’introduzione dell’automazione e della robotica «non ha avuto molto successo» nel ripristinare la produttività ed è stata spesso abbandonata. Dopo un breve aumento della produttività nel settore dei trasporti e dei magazzini in seguito alla Grande recessione, anche la produttività in questi settori è crollata. A partire dal 2016, i tempi di consegna dai fornitori statunitensi alle imprese sono aumentati.
Il just-in-case
La pandemia ha allungato ulteriormente i tempi di consegna. La «crisi della catena di fornitura» (supply chain) del 2021-2022 causata dal Covid e dai cambiamenti climatici ha rivelato quanto il Just in time fosse vulnerabile alle perturbazioni e ha portato le aziende a riconsiderare alcuni degli aspetti principali della produzione snella, soprattutto la consegna just in time e la dipendenza da un unico fornitore.
Gli spedizionieri hanno deciso di tenere più scorte. La rivista di settore GlobalTranz ha osservato nel suo rapporto sulla logistica del 2022 che «dato il rischio di ritardi, le strategie snelle si sono rivelate troppo rigide». Citi Gps ha riferito che a partire dal 2023, le aziende stanno passando «da un approccio just-in-time a un approccio just-in-case».
Un sondaggio di Accenture del 2023 condotto su oltre 1.200 aziende ha rivelato che il 42% era già passato dal Just in time al sourcing multiple e il 72% prevedeva di farlo entro tre anni.
L’importanza del Just in time è stata la riduzione dei costi delle scorte, sia di componenti che di prodotti finiti. Con il calo della produttività e l’aumento dei tempi di consegna, le scorte sono cresciute in media del 4,3% annuo dal 2010 al 2019, e poi più velocemente – il 7,1% annuo dal 2019 al 2022 – quando le aziende hanno iniziato a passare al just-in-case. Ciò ha danneggiato i tassi di profitto e la competitività aziendale, a livello nazionale e internazionale.
L’amazonificazione
Come possono le aziende ottenere i vantaggi del just-in-case senza gli elevati costi di magazzino? La risposta è stata trovata nel metodo che ha sostenuto la rapida crescita di Amazon: mantenere le scorte relativamente basse spostando rapidamente milioni di prodotti in migliaia di sedi. Poiché le sue vendite sono quintuplicate dal 2015 al 2022, il rapporto scorte/vendite di Amazon è sceso dal 9,3% al 6,7%.
I due segreti del suo successo sono: un processo lavorativo brutale, in cui compiti e ritmi sono diretti da algoritmi, e un sistema logistico sempre più denso. Nel 2023, la rivista Transport Topics ha classificato Amazon come il vettore di merci numero uno a livello mondiale.
Il trucco di Amazon è ottenere il pagamento dai clienti, principalmente tramite carta di credito, prima di pagare i venditori di cui vende i prodotti. Le entrate che guadagna in questo intervallo di tempo vengono chiamate «flusso di cassa libero», una forma mascherata di profitto altrimenti imponibile, perché mentre Amazon detiene questo denaro può usarlo per acquistare altre merci ed espandere le strutture per guadagnare ancora più denaro. Nel 2022, Amazon ha realizzato 12 miliardi di dollari di «reddito operativo» (profitti dichiarati), ma ha anche assorbito 11,6 miliardi di dollari in «flusso di cassa libero».
Ma affinché ciò funzioni, è necessario che le cose si muovano in modo rapido e continuo. Questo non ha a che fare né con il just-in-time né con il just-in-case. Amazon ha sviluppato un fitto sistema logistico che massimizza la rapidità con cui tutti i prodotti si spostano costantemente all’interno e tra i luoghi. Oltre ai centri logistici, nel 2014 si sono aggiunti i Prime Hub e i centri di smistamento e nel 2016 le stazioni di consegna. Il numero di centri logistici è più che raddoppiato, passando da 139 nel 2018 a 349 nel 2022. I centri di smistamento sono triplicati, passando da 47 a 140 nello stesso periodo. Le stazioni di consegna, l’ultima fermata prima del cliente, sono cresciute di sette volte, da 87 a 656. Successivamente Amazon prevede di costruire 150 «hub di consegna ultraveloci».
Queste strutture sono concentrate nelle principali aree metropolitane, vicine a grandi mercati del lavoro e lucrosi mercati di consumo. Come ha dichiarato al Wall Street Journal il vicepresidente di Amazon, Udit Madan, «Il raddoppio del mercato ci ha davvero permesso di avere molte più strutture più vicine ai clienti».
Fino al 2022 Amazon disponeva di una flotta di settantamila veicoli e prevede di acquistare centomila furgoni elettrici. La maggior parte di questi sono guidati da autisti contingentati nell’ambito del programma Flex o da coloro che lavorano per appaltatori chiamati fornitori di servizi di consegna. Dal 2021, ha incorporato quarantadue aeroporti regionali per consegne rapide a lunga distanza.
Denso, veloce, vulnerabile
Questo modello altamente orchestrato e ottimizzato adesso sta plasmando la logistica dell’economia statunitense nel suo insieme.
Aziende come Target stanno seguendo l’esempio di Amazon, cercando di controllare i livelli di scorte e superare i propri rivali creando fitte reti di strutture e aggiungendo veicoli. In tutti gli Stati uniti, il numero di camion, magazzini e strutture di autotrasporto e i lavoratori in questi lavori stanno tutti crescendo a ritmi accelerati. Le strutture sono raggruppate attorno alle grandi città. Un’inchiesta del 2021 di McKinsey sui «leader della catena di fornitura globale» ha rilevato che quasi il 90% «si aspetta di perseguire un certo grado di regionalizzazione nei prossimi tre anni», il che significa che un maggior numero di prodotti sarà prodotto più vicino al cliente. Una ricerca condotta da Accenture nel 2023 ha indicato che il 38% dei dirigenti intervistati si riforniva già principalmente a livello regionale e il 65% prevedeva di farlo nei prossimi tre anni.
Questi sistemi regionali sono collegati da ferrovie e autostrade interstatali. Per coordinarli meglio, ha riferito Citi Gps nel 2023, le aziende stanno cercando una visibilità da «torre di controllo» sulle loro catene di approvvigionamento, intensificando la sorveglianza digitale, l’instradamento e il tracciamento di merci e manodopera.
Tutti questi cambiamenti esercitano una maggiore pressione sui lavoratori. Ma ciò che sta prendendo forma, man mano che le aziende abbandonano i metodi snelli a favore della tecnologia digitale, è un sistema con più «nodi» e «collegamenti»: punti di connessione, trasferimento o scambio attivati dal lavoro umano sia all’interno che tra gli stabilimenti, i magazzini e altre strutture.
Come ha affermato John Womack nel recente Labor Power and Strategy, «ogni prodotto che si muove oggi, ogni persona che si muove, passa attraverso più connessioni in catene e reti rispetto a una generazione fa». Ognuno di questi punti è vulnerabile all’azione dei lavoratori: un’interruzione in quei punti comporterà un costo per le entrate e un costoso accumulo di scorte. I lavoratori che si trovano in questi punti hanno quello che Womack chiama «potere posizionale».
Questo vale per il picker del centro di approvvigionamento di Amazon che alimenta i nastri trasportatori automatizzati, per la squadra che carica un camion, per l’autista di un camion o di un treno, per gli operai della catena di montaggio la cui velocità determina la velocità di chi sta dietro di loro, per gli addetti alla manutenzione che mantengono in funzione i dispositivi meccanici o digitali e così via.
L’esercizio del potere posizionale può frenare la velocità delle scorte, delle merci e delle entrate per rendere più efficaci gli scioperi e le azioni di work-to-rule. Il trucco sta nel trovare i punti di vulnerabilità, un compito che richiede un processo decisionale collettivo e un coordinamento tra lavoratori e lavoratrici.
Non è affatto un’idea nuova. Lo sciopero di Flint che mise in ginocchio la General Motors nel 1937 ottenne il riconoscimento della United Auto Workers perché i lavoratori bloccarono l’importante stabilimento di motori Chevy 4 che riforniva gli altri stabilimenti di Flint e oltre. Con l’attuale restringimento delle catene di approvvigionamento e la proliferazione di punti vulnerabili sia nella produzione che nei trasporti, questo tipo di pensiero e azione strategica può aiutare non solo a ottenere vantaggi per i lavoratori sindacalizzati, ma anche a organizzare i non organizzati.
Ciò è importante, perché la forza lavoro riconfigurata della produzione e della logistica è per lo più non sindacalizzata, spesso contingentata o part-time. L’anno scorso, il numero degli iscritti ai sindacati del settore privato è cresciuto di 191.000 unità, e il 70% di questi lavorava nel settore manifatturiero, nei trasporti e nei magazzini. Molti lavoratori e lavoratrici in questi settori sono persone non bianche, e la stragrande maggioranza di coloro che si sono iscritti al sindacato erano afroamericani o latini e giovani lavoratori, che tendono a essere più favorevoli al sindacato.
Il numero di lavoratori che formano sindacati attraverso elezioni supervisionate dal National Labour Relations Board è in crescita, ma è una crescita ancora troppo lenta per cambiare gli equilibri di potere nel cuore dell’economia. La consapevolezza collettiva e l’uso coordinato del potere dato dalla propria posizione offrono un potente percorso alternativo e un ulteriore strumento di organizzazione.
*Kim Moody è stato uno dei fondatori di Labor Notes, ora vive a Londra dove è ricercatore, scrive di questioni legate al lavoro ed è membro della National Union of Journalists. Questo articolo, tratto da Labor Notes, è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione di Jacobin Italia, che ringraziamo.
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Il 2 maggio scorso, la statunitense Labor Notes pubblicava un articolo di Kim Moody, uno dei fondatori della rivista e dei più attenti osservatori del mondo del lavoro, intitolato “The End of Lean Production…and What’s Ahead”. Jacobin Italia lo ha tradotto (“Oltre la produzione snella” ) e lo ha messo online l’11 maggio (Oltre la produzione snella – Jacobin Italia) e ci ha concesso l’utilizzo della traduzione da loro pubblicata. La presentiamo qui, corredata dei commenti di Sergio Fontegher Bologna, Bruno Cartosio, Matteo Gaddi, Romeo Orlandi e Marco Veruggio che ne discutono affermazioni e implicazioni da angolazioni diverse. L’insieme verrà pubblicato anche su: www.puntocritico.info
Kim Moody, Oltre la produzione snella
Sergio Fontegher Bologna, La produzione snella e il governo della logistica
Bruno Cartosio, La distribuzione è vulnerabile
Matteo Gaddi, Commento a “Oltre la produzione snella” di Kim Moody
Romeo Orlandi, Note su “Oltre la produzione snella” di Kim Moody