Conflitti,  Storia e memoria

Memoria come pratica politica

Ottant’anni dalla Liberazione. Due cose mi piacerebbe leggere/sentire/vedere nelle tante manifestazioni/commemorazioni che ci saranno. La prima: meno martirologi e più fierezza, più orgoglio, di aver fatto fuori un po’ di criminali fascisti e nazisti. La seconda: il fascismo è stato battuto, è nato uno stato con una bellissima costituzione ma non dimentichiamo che quella costituzione in fabbrica non ci è entrata fino al 1970, con lo Statuto dei Lavoratori. Salvo casi eccezionali (tipo Olivetti). E questo non tanto per rispolverare il vecchio mito della “Resistenza tradita” quanto per parlare dell’oggi.

Con quale faccia celebrare la fine del fascismo senza pensare che si è cittadini di uno stato dove è tornata la schiavitù? Quando prelevano degli immigrati da un centro d’accoglienza, sequestrano i loro passaporti e li portano con un pulmino a lavorare per 3/4 euro l’ora in un centro logistico o in un campo di pomodori, non è schiavismo questo? Non è roba che viola i più elementari diritti umani? Spero che tutti abbiano letto Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud di Alessandro Leogrande (Feltrinelli 2017). Io lo sto facendo, con imperdonabile ritardo, e scopro che a 88 anni suonati non so ancora in che paese vivo. E aspetto che mi arrivi il VII Rapporto su Agromafie e caporalato, novembre 2024.

Nel 1945 gli operai avevano persino salvato gli impianti, avevano salvato il capitale fisso, la risorsa fondamentale dei padroni e questi, appena tornata la pace, hanno aumentato i ritmi in ambienti malsani, non hanno riparato nemmeno le finestre rotte e quelli dentro a lavorare rischiavano la polmonite. Hanno cacciato i militanti sindacali o li hanno isolati in reparti confino. Mentre nelle campagne comandavano i caporali, nelle piazze si ammazzavano i braccianti, ancora nel 68, ad Avola. Lo Statuto dei Lavoratori passa al Senato in prima lettura l’11 dicembre 1969. Il giorno dopo (il giorno dopo!) scoppia la bomba di piazza Fontana. Ma non riesce a fermare il grande ciclo di lotte sindacali iniziato a Milano con lo sciopero degli elettromeccanici del 1960. Lo slancio operaio e studentesco è troppo forte. Gli strateghi dello stragismo dovranno inventarsi qualche altra infamia. Ma resteranno tutti impuniti. Se qualcuno sarà morto nel frattempo, sarà morto nel suo letto, come Ante Pavelic, come Rodolfo Graziani.

Anni 70, oggi comprendiamo appieno cosa sono stati per noi, anni di liberazione, di creatività, di riforme strutturali. Poi il nulla e nel 2011, trent’anni dopo, la situazione è tale che si deve approvare una legge contro l’”intermediazione illecita di mano d’opera” e nel 2016 una legge contro il caporalato e il lavoro nero in agricoltura. 

Che tragica regressione ha subìto questo paese dal 1980 ad oggi! Che cambiamento di civiltà! Entzivilisierung la chiamano i tedeschi. Da paese dove i lavoratori detenevano un potere di negoziazione senza uguali nella sua storia a paese dove i salari invece di mantenersi stabili o salire, calano. E in tutta questa paurosa regressione viene da chiedersi se più vergognoso sia stato il comportamento di una sinistra “pentita” o quello di un’imprenditoria e di un management ai quali vanno imputati sia il cosiddetto “inverno demografico”, sia la cosiddetta “fuga dei talenti”. 

“Signorina, noi siamo interessati alla sua collaborazione, ma non le verrà mica in mente di fare figli, vero?”. Quante giovani donne si sono sentite fare questo discorso al cosiddetto “colloquio d’assunzione”? Fare figli o lavorare. 

Con quale faccia questo paese “incivile” ricorda la Liberazione? Non prova vergogna?

Politica della memoria, certo, ma per riuscire a creare una società parallela, un circuito dove si parla un altro linguaggio, dove non si ascoltano le parole pronunciate dai media, dove la prima preoccupazione è mettere in sicurezza il proprio cervello. In fin dei conti è quello che hanno fatto i proletari, donne e uomini, dalla metà dell’Ottocento, che hanno messo in piedi società di mutuo soccorso, case del popolo, cooperative, biblioteche. Hanno costruito spazi di autarchia, perché la negoziazione da sola, anche quella che si concludeva positivamente, dopo durissimi scioperi, non bastava a farli campare.

Questo articolo è uscito anche su Erbacce, l’illustrazione è di Marilena Nardi