La scuola come “common good”: le mobilitazioni negli Stati Uniti
Parte 3/3 del saggio “Processi di soggettivazione nel lavoro educativo. Azioni di massa e conflitto sociale tra Europa e Stati Uniti.”
Qui puoi leggere la parte 1/3, “Un ciclo di lotte nella scuola neoliberale in Europa”
Qui puoi leggere la parte 2/3, “Il lavoro nella scuola italiana”
Da almeno dieci anni, negli Stati Uniti, gli insegnanti, insieme ai diversi profili professionali di chi lavora nel mondo dell’istruzione sono a tutti gli effetti una soggettività sociale insofferente, capace di inscenare lunghe lotte per reclamare non solo incrementi salariali ma anche una maggiore attenzione e cura per il settore scolastico in termini di finanziamento pubblico e politiche redistributive da parte delle istituzioni.
11. Lo sciopero di Chicago del 2012
Le radici recenti del processo di soggettivazione nel settore del lavoro educativo statunitense si situano nel grande movimento di protesta che, nell’autunno del 2012, si contrappose frontalmente alle politiche neoliberali di Rahm Emanuel, allora sindaco di Chicago, in precedenza capogabinetto alla Casa Bianca durante il primo mandato di Obama, e tuttora esponente di rilievo dell’establishment del Partito democratico.
Nel settembre di quell’anno gli insegnanti di Chicago, affiancati da operatori sociali, educatori, psicologi e medici dei distretti scolastici, vinsero la loro battaglia con uno sciopero durato un’intera settimana che paralizzò le scuole della metropoli dell’Illinois. A guidare le proteste era stata la locale Ctu (Chicago Teachers Union), che, seppur affiliata alla moderata American Federation of Labor, aveva visto affermarsi tra i suoi quadri una nuova leva di militanti dalle posizioni radicali di sinistra che facevano riferimento al Core (Caucus of Rank and file Educators).
La mobilitazione ottenne risultati di indubbio rilievo: oltre all’aumento del 17 per cento nelle retribuzioni del personale delle scuole pubbliche, venne nei fatti fermato tutto il disegno di riforma scolastica promosso da Rahm Emanuel. L’amministrazione ritirò la proposta di ancorare le retribuzioni degli insegnanti ai punteggi dei test standardizzati degli studenti e bloccò il previsto aumento nei costi dell’assicurazione sanitaria per i dipendenti dei distretti scolastici. Il risultato più importante fu tuttavia l’impatto sull’opinione pubblica: le azioni di protesta degli insegnanti rovesciarono il punto di vista dominante tra l’elettorato democratico, fino ad allora incline ad appoggiare la proposta di sostanziale privatizzazione della scuola da parte del governo della città.
L’amministrazione democratica puntava sulla chiusura di molte scuole pubbliche nei quartieri poveri (cioè quelle che ottenevano bassi risultati nei test) a favore delle charter schools, gli istituti parificati finanziati prevalentemente da fondazioni private.
La novità nell’azione della Ctu consisteva nella capacità di osare quello che nessuna organizzazione sindacale della scuola aveva osato prima: rompere con le locali sezioni del Partito democratico, denunciando chiaramente l’impianto paternalista e razzista di una riforma dell’istruzione che dipingeva l’intervento dei privati nella scuola – attraverso le charter schools – come unico strumento in grado di aiutare la popolazione dei quartieri poveri e abitati dalle minoranze.
12. Dal movimento Red for Ed alla scuola come bene comune
Dopo alcuni anni relativamente tranquilli nel settore scolastico, la lezione di Chicago venne ripresa nel 2018, nel bel mezzo della presidenza Trump, da un’ondata di attivismo e lotte di massa degli insegnanti che si svilupparono in alcuni stati di tradizione repubblicana, come West Virginia, Oklahoma, Kentucky e Arizona. Proprio perché si trattava di stati che, al termine dello spoglio elettorale, di solito si colorano di “rosso” (il distintivo cromatico del Grand Old Party), il movimento prese il nome di #RedforEd, cioè “Red for Education”, un hashtag diventato presto virale sui canali social e che giocava sul recupero del significato del colore rosso: questo, da simbolo del campo repubblicano, tornava a rappresentare nell’immaginario il colore della classe lavoratrice in lotta, grazie ai foulard, alle sciarpe e alle coccarde rosse indossate con ostentazione dagli insegnanti nel corso delle mobilitazioni.
Gli scioperi – in alcuni casi protrattisi per giorni – e le manifestazioni del 2018 avevano come bersaglio governatori repubblicani ai quali si rimproveravano i tagli o gli scarsi stanziamenti per l’istruzione pubblica. Anche per questo i principali commentatori liquidarono queste proteste come uno degli aspetti della crisi interna all’elettorato repubblicano a metà del mandato di Trump. Queste analisi si sbagliavano.
L’anno seguente, nel 2019, anche i distretti scolastici di stati “blu”, cioè con maggioranze democratiche, come il Michigan, la California e l’Illinois, erano in preda a varie forme di agitazione. Da Oakland a Chicago gli insegnanti proclamavano scioperi a oltranza rivendicando massicci aumenti salariali e un’inversione di rotta nelle politiche di contenimento della spesa che i governatori democratici – non diversamente da quelli repubblicani – mettevano in atto ormai da anni.
E a fine 2019 l’onda delle proteste raggiungeva anche la East Coast, con punte di radicalità inedite, come del distretto scolastico di Dedham nel Massachusetts, dove lavoratrici e lavoratori scesero in sciopero sfidando apertamente le leggi che lo proibivano, mostrando una compattezza tale da capovolgere il giudizio pubblico sull’interruzione per sciopero dei servizi essenziali. Quest’ondata conflittuale recuperava un’istanza emersa e socializzata tra gli attivisti già nel 2012 a Chicago: «bargaining for the common good,» vale a dire la necessità di intendere le negoziazioni sindacali inerenti la scuola come una “contrattazione per il bene comune”.
13. In difesa della scuola pubblica
Gli effetti della pandemia sui servizi scolastici non hanno affatto ridotto la combattività dei lavoratori e delle lavoratrici statunitensi che, anzi, nel 2022, hanno intrapreso un nuovo ciclo di lotte. Il periodo pandemico è stato rivelatore di tutte le storture del sistema scolastico pubblico americano, devastato da anni di politiche di definanziamento e di vero e proprio sabotaggio istituzionale. La rivendicazione, nata a Chicago nel 2012, di maggiori investimenti pubblici nell’istruzione, intesa come un common good si è fatta così più forte.
Ed è stato infatti proprio in nome di una maggiore attenzione per il «bene comune» che ancora nel maggio del 2023 sono tornati a scioperare gli insegnanti e gli operatori dei distretti scolastici della California. Nella piattaforma sindacale, oltre ad aumenti salariali tutt’altro che marginali (15 per cento della retribuzione), si evidenzia la richiesta di un massiccio intervento statale per assicurare non solo un’istruzione più a misura di persona, ma anche varie forme di protezione sociale: protezione dagli sfratti per le famiglie degli studenti, sistemazione a carico del governo per le famiglie homeless, sovvenzioni al trasporto pubblico purché sia ecologico, maggiore presenza nelle scuole di psicologi, infermieri e assistenti sociali e – come evidente esempio di contaminazione intersezionale a partire dal movimento Black Lives Matter – la riduzione degli stanziamenti economici a favore delle scuole di polizia.
Tra le common good demands, gli insegnanti di Oakland avanzano per esempio la richiesta – già incontrata a Chicago nel 2012 – di fermare la chiusura delle scuole pubbliche a vantaggio delle charter schools, una misura che, anche in California, assume contorni razzisti e classisti, dal momento che i quartieri maggiormente colpiti dalle proposte di chiusura sono quelli dove risiedono le minoranze. E resta tutto da dimostrare, come insistono gli attivisti sindacali, che sia economicamente conveniente la chiusura di scuole pubbliche a vantaggio delle private, che comunque ricevono finanziamenti pubblici, ma non sono soggette ai regolamenti statali in fatto di scelte didattiche e gestione del personale.
14. La lezione americana: formazione e intersezionalità
A partire dal 2012, negli Stati uniti, sindacati ritenuti spesso troppo accondiscendenti verso le politiche neoliberali anche dei democratici, si sono quindi risollevati in molti stati sull’esempio di quanto accaduto a Chicago con la Ctu. Accanto al rinnovamento nei vertici dell’organizzazione sindacale, il caso di Chicago ha messo per la prima volta in luce che la questione retributiva degli insegnanti si andava a intrecciare con una lunga serie di ingiustizie istituzionali con cui la scuola aveva a che fare.
Consapevoli che una lotta vincente non poteva basarsi solo su rivendicazioni di categoria (come la negoziazione dei salari o delle condizioni di lavoro), ma doveva mettere in discussione le politiche scolastiche generali, condotte in modo bipartisan da democratici e repubblicani, la Ctu ha avviato una vasta campagna di formazione e informazione grazie alla quale docenti, personale della scuola e famiglie sono stati trasformati in attivisti per il «bene comune».
Dopo Chicago la lotta degli «educatori ribelli» ha assunto nell’arco di un decennio una dimensione nazionale, trasformandosi in un movimento per la «giustizia educativa».
Ciò ha significato porre in relazione le rivendicazioni lavorative degli insegnanti con una più ampia agenda sociale progressista: la lotta alla discriminazione razziale, il supporto alle politiche abitative, la difesa dei posti di lavoro nell’impresa privata, il diritto all’organizzazione sindacale. Si tratta, in fondo, di attaccare il fondamento della scuola come luogo di riproduzione sociale degli assetti esistenti.
Senza essere imprigionate in una discussione pedagogica astratta le strategie americane mostrano che un movimento di massa degli insegnanti e dei lavoratori del settore educativo è possibile. Per affermarsi ha però bisogno di una forte intersezionalità nell’approccio, che tenga conto dell’intreccio che vi è tra la scuola e la società che la circonda. Negli Stati uniti, dove le politiche neoliberali hanno mostrato il loro volto più terribile, l’inganno ideologico della professionalizzazione degli insegnanti sembra non funzionare più. Il superamento della condizione di paralisi derivante dalla proletarizzazione materiale sembra però possibile solo con assidue campagne di formazione e invito alla militanza attiva tra i lavoratori del settore educativo, così come pionieristicamente fatto dalla Ctu di Chicago più di dieci anni fa.
L’impoverimento economico e il peggioramento delle condizioni lavorative del personale scolastico non conducono di per sé – lo si vede nel caso italiano – a una maggiore consapevolezza o a un protagonismo rivendicativo nel settore, ma un processo di soggettivazione può cominciare nel momento in cui, superando il corporativismo della categoria, si costruiscono legami con altre questioni scottanti che investono la società.
Per ora, in Europa, i segnali che qualcosa si sta muovendo in questa direzione sono giunti dalla grande partecipazione degli insegnanti francesi alle mobilitazioni contro la riforma previdenziale e dalla combattività del settore educativo britannico. I mesi futuri ci mostreranno se si tratta di casi isolati o se è l’inizio di un ciclo.
Bibliografia
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Gutierrez, R.R., «Beating the Neoliberal Blame Game: Teacher and Parent Solidarity and the 2012
Chicago Teachers’ Strike», Monthly Review, vol. 65, n.2 (2013), pp. 24-32;
Kolins, G.R. e Schrager L.A. (a cura di), Strike for the Common Good: Fighting for the Future of Public Education, University of Michigan Press, Ann Arbor 2020;
Weiner, L., The future of our schools: Teachers unions and social justice, Haymarket Books, Chicago 2012.