Il capitalismo flessibile alla Grafica Veneta
Nicola Atalmi, cinquant’anni, abita a Treviso, ha alle spalle una lunga esperienza politica, è stato consigliere regionale per i Comunisti unitari ai tempi della “monocrazia” di Galan. Sindacalista della Cgil da una decina d’anni, è responsabile regionale del Sindacato dei lavoratori della comunicazione (Slc), dove la Cgil ha inserito anche un segmento manifatturiero pregiato, la grafica, con una lunga storia veneziana e veneta. Atalmi è uno dei testimoni chiave delle vicende di Grafica Veneta rimbalzate al (dis)onore della cronaca nella calda estate 2021. Una storia di sfruttamento di lavoratori pachistani, al limite della schiavitù, nel magazzino di un’azienda di successo.
Siamo a Trebaseleghe, un comune padovano sulla Castellana, la direttrice che unisce Mestre-Venezia a Castelfranco, attorno alla quale lavorano migliaia di persone. Aree industriali, traffico pesante, abitazioni, scuole, welfare, municipi: una società messa al lavoro. Lavori a soggettività individuale e senza rappresentanza collettiva.
Il capitalismo flessibile nel cuore geografico e culturale del Veneto.
Alla Castellana, non più periferia industriale ma piattaforma produttiva globale, manca la città come luogo denso, plurale, conflittuale. Quello di Grafica Veneta appare un capitalismo senza borghesia e senza cultura. Ogni giorno lavoratori, manager e imprenditori bevono il caffè nella stessa piazza. E la piazza non vede le contraddizioni, neppure quelle odiose e razziste, preferisce sognare una comunità che non c’è più, invece che far diventare questi temi discorso pubblico, democrazia partecipata, responsabilità.
Il valore del lavoro e la sua rappresentanza collettiva esigono una rivoluzione culturale, come il futuro di Trebaseleghe e del Veneto.
L’intervista è stata raccolta dall’autore a Mestre, l’8 novembre 2021.
Boschiero: Grafica Veneta è una media azienda veneta o una multinazionale tascabile?
Atalmi: La storia di Grafica Veneta è una storia visceralmente veneta, nasce e cresce nel ventre della pianura padana, con tutta la vitalità e tutte le contraddizioni che caratterizzano il capitalismo flessibile delle nostre terre. In trent’anni, una tipografia con tre dipendenti diventa lo stabilimento di Trebaseleghe, che ha letteralmente ridisegnato un paese di tredicimila abitanti, occupandone un intero quartiere. «Pensi che è lungo un chilometro!», ci spiegano con orgoglio. Occupa trecentonovantaquattro persone tra diretti e indiretti, più un centinaio di addetti in altri siti veneti, e recentemente è sbarcata negli Usa, acquisendo uno stabilimento a Chicago. A ridosso della fabbrica una magnifica villa del Settecento, restaurata a regola d’arte, ricorda gli investimenti e il prestigio dei nobili veneziani nello “stato da tera”.
Un classico esempio di impresa globale “in dialetto” che intreccia l’internazionalizzazione dei mercati di sbocco con la velocità dell’instant book, dall’autobiografia di Mandela a quella di Michelle e Barack Obama. Si pubblicizza come l’azienda in grado di stampare un libro in un giorno. Fece notizia quando il titolare, con la solita esagerazione, dichiarò di aver preso la commessa per stampare gli elenchi telefonici di tutto il Corno d’Africa.
Boschiero: Chi sono i protagonisti della scena?
Atalmi: Come in tutte le aziende della rude razza padana, ci sono un “paròn”, Fabio Franceschi, e la sua famiglia, e c’è il paese. È la piazza di Trebaseleghe, una piccola patria, con una chiesa troppo grande, il primo specchio della ricchezza e della reputazione, ancor prima dei bilanci aziendali e dei mass media; seppure Franceschi dimostra di saperla usare, la comunicazione pubblica. Al fondo, permane un paternalismo poco incline a concertazioni con il sindacato e del tutto allergico ai conflitti.
In estate esplode lo scandalo sullo sfruttamento dei lavoratori pachistani, corro a Trebaseleghe. Vedo uscire una Rolls Royce Phantom, una cosa da quattrocentomila euro, alla guida il Franceschi. Era appena finito il Cda, si levavano in volo addirittura due elicotteri. Entro e discuto, animatamente, con iscritti e delegati per capire come fosse potuta succedere una cosa simile. Il titolare, avvisato del mio arrivo, era rientrato e mi voleva incontrare. Le auto di padre e figlio erano parcheggiate all’ingresso, la Rolls e una Ferrari. Entriamo nello spazio produttivo, moderno, tecnologico, gigantesco. E scopro lo stile di Franceschi: quando è in azienda inforca una bicicletta e gira per lo stabilimento, si ferma a parlare con i lavoratori per verificare, controllare, conoscere i problemi…
Non manca l’intreccio con la politica. La sindaca e la giunta comunale sono espresse dalla Lega Nord. Inevitabile la stima ricambiata con il doge Luca Zaia, dopo la delusione patita da Forza Italia nel 2018 per la mancata elezione di Franceschi in Parlamento. Con Zaia il paròn gestisce mirabilmente l’operazione anti Covid nella primavera drammatica del 2020, fornendo milioni di mascherine targate “Regione Veneto”, del tutto inefficaci contro la pandemia finché erano gratis e subito dopo, diventate chirurgiche, un vero business per l’azienda. Qualche uscita nei salotti televisivi per riproporre la difficoltà a reperire manodopera, accusando i giovani di essere indisponibili ai disagi del lavoro operaio e ai turni. Il tutto in un’azienda dove per lungo tempo non si è applicato il contratto nazionale, gli orari erano senza limite, la disciplina molto dura; non a caso, con un alto turn over.
Boschiero: La vicenda dei pachistani percossi, ammanettati e trattati come schiavi, spezza questo incantesimo? Oppure le cose si trascinano come prima? Ad agosto, chi reagisce prontamente sono i Cobas, subito dopo arriva la Fiom, in base al fatto che gli appalti applicano il contratto dei metalmeccanici. Dobbiamo guardare in faccia la Slc, la federazione dei grafici, che in fabbrica è presente da anni e che dovrebbe educare alla libertà e alla solidarietà. I sindacalisti di fabbrica si sono mobilitati? Avevano visto? Perché non sono intervenuti?
Atalmi: In Grafica Veneta non è mai stato facile fare sindacato. Per anni si è cercato di eludere il problema con la creazione di sigle sindacali di comodo. Famosa nel Padovano è quella ispirata dall’avvocato Emanuele Spata, legale dell’azienda e responsabile delle relazioni sindacali, ma anche animatore di un sindacato “di base” che ha le medesime iniziali del suo studio: lo Studio legale Spata diventa Sindacato lavoro società: stesso acronimo, Sls. Per evitare un plateale conflitto di interessi, a Trebaseleghe viene fatto entrare un “Sindacato della stampa”, con qualche decina di iscritti. Se verifichi in internet trovi una fantomatica sede, a Camposampiero, e le foto dell’unica azienda in cui vanta iscritti, Grafica Veneta, appunto.
Nonostante tutto, nel 2014 Grafica ha dovuto cedere e riconoscere la rappresentanza della Slc-Cgil; beninteso, dopo una lotta serrata, compresa una denuncia per comportamento antisindacale. In ogni caso, riconosco un ritardo dei nostri iscritti e dei delegati, una sottovalutazione grave, un’incapacità di capire cosa c’era dietro quell’appalto.
Boschiero: Alla Gkn di Firenze, negli stessi giorni d’agosto, i lavoratori in lotta usano una parola precisa: “Insorgiamo!”, praticano una soggettività forte, consapevoli che la fabbrica è anzitutto lavoro e capacità professionale. A Trebaseleghe non c’è conflitto, si tende a smorzare i toni, prevale l’assuefazione: perché? C’è al fondo una subalternità culturale?
Atalmi: All’esplosione della vicenda, con le testimonianze fotografiche dei maltrattamenti cui erano sottoposti i pachistani del magazzino, ci siamo confrontati aspramente con la rappresentanza aziendale: com’era possibile che nessuno si fosse accorto di queste persone e delle loro condizioni? Gli attivisti della Cgil non dovevano restare indifferenti! Uno di loro, un compagno esperto, mi ha risposto: «Hai ragione, siamo rimasti travolti da questa vicenda e ci sentiamo in colpa per non esserci accorti di nulla. Parlavano poco l’italiano, non erano mai gli stessi, li incrociavamo solo quando portavamo in magazzino la merce da lavorare. Al massimo, ciao ciao». Evidentemente, le violenze e i soprusi avvenivano anche fuori di qui. Abbiamo incontrato i titolari e abbiamo chiesto che questa triste vicenda si chiuda con l’assunzione dei lavoratori interessati.
Boschiero: Avete approfondito le cose dentro l’azienda che gestiva il magazzino? Qualcuno ha ascoltato i pachistani?
Atalmi: Alla Grafica, inizialmente, i pachistani svolgevano mansioni marginali e di fatica, a ridosso dei dipendenti diretti; quando i sindacalisti di fabbrica hanno chiesto di regolarizzare il rapporto con questi lavoratori, come previsto dal Ccnl grafico, la direzione ha deciso di costruire un “bantustan pachistano”, ha recintato cioè uno spazio separato con delle reti termosaldate, all’interno del quale potevano operare solo i lavoratori di Bm Services. Risulta che vi siano state negli anni ben due ispezioni dell’Ispettorato del lavoro, senza che fossero registrate anomalie: cosa inquietante, bastava qualche visura camerale per capire che qualcosa non quadrava. Ma nessuno è intervenuto.
L’utilizzo della Bm Services, come sollevato in più occasioni dalle rappresentanze aziendali, violava quanto previsto dal Ccnl, in merito per esempio al contratto applicato, ma anche alle verifiche preliminari di cui è responsabile il committente, cioè Grafica Veneta. È emerso un quadro impressionante di sfruttamento: per rispondere ai picchi lavorativi in Grafica Veneta, la Bm Services utilizzava migranti pachistani – spesso richiedenti asilo provenienti da centri di accoglienza – che lavoravano fino a dodici ore al giorno, a fronte di salari decisamente inferiori. Non basta! I caporali applicavano ulteriori trattenute sulle buste paga attraverso carte postali che, nelle mani degli sfruttatori, erano strumenti di ricatto.
Per questo motivo fin dall’inizio della vertenza la Slc-Cgil ha rivendicato che Grafica Veneta si assumesse la responsabilità di ciò che è avvenuto in Bm Services e che desse un segnale inequivocabile, assumendo in azienda le persone coinvolte come risarcimento per le violenze subite. Si era avviata una trattativa aziendale, bloccatasi poi quando, al tavolo in Prefettura a Padova, il legale di Grafica Veneta non ha mantenuto gli impegni presi. E Franceschi ha preferito chiedere il rito abbreviato per i due dirigenti indagati, dietro i quali aveva mascherato le sue responsabilità, e pagare una multa.
Boschiero: La vertenza è ancora aperta? O tutto si chiude così, con una multa ridicola?
Atalmi: La vicenda penale è chiusa, Grafica Veneta ne è uscita con il patteggiamento, che però, va ricordato, è sempre un’ammissione di colpevolezza. I lavoratori pachistani erano tutti a tempo determinato, alcuni con contratti scaduti, altri hanno problemi con il permesso di soggiorno. Rimane in piedi il processo per caporalato contro la Bm Services, i nostri legali tenteranno di far riconoscere la responsabilità in solido del committente Grafica Veneta. La rappresentanza sindacale interna continua a chiedere che l’azienda assuma i lavoratori.
Boschiero: Trebaseleghe, il paese e l’opinione pubblica, hanno reagito? Grafica Veneta periodicamente fa notizia sui giornali…
Atalmi: Nel 2012 le cronache segnalarono che un gruppo di mogli dei dipendenti vedevano con sospetto l’assenza prolungata dei mariti a seguito di ripetuti turni notturni; la cosa ovviamente stuzzicò la curiosità giornalistica. Ma, invece che risvolti boccacceschi, emerse semplicemente un uso smodato dei turni e dello straordinario. Un nostro sindacalista, controllando le buste paga, scoprì che lo stipendio mensile lordo era di tremilatrecento euro, con un netto di duemiladuecento. Nel lordo risultavano duecentocinquanta euro di straordinario, quattrocentocinquanta euro di lavoro notturno e ben novecentocinquanta di premio individuale. In quel mese l’operaio aveva lavorato trecento ore!
L’azienda fattura attorno ai centotrentacinque milioni di euro, con una crescita continua negli anni, ma non ha mai negoziato un premio aziendale collettivo. Perché dovrebbe sottoscrivere con il sindacato un premio di risultato? Gli strumenti più semplici sono gli straordinari, sempre e comunque, e il controllo individuale sulle persone. Questa enorme disponibilità dei dipendenti è una delle condizioni che garantisce a Grafica Veneta il vantaggio competitivo che l’ha portata al vertice in Italia e nel mondo: consegne veloci, unite ad affidabilità e qualità. Serve una diversa cultura del lavoro, consapevolezza dei propri diritti, orgoglio.
Boschiero: Proprio i brillanti risultati economici dovrebbero aprire lo spazio al sindacato. Al contrario, la Cgil appare timorosa, incerta: la debolezza sui migranti sottoposti a uno sfruttamento feroce fa pensare a una contrattazione aziendale altrettanto incerta, difensiva… Mi spieghi meglio il processo che porta Franceschi a servirsi di (sedicenti) cooperative?
Atalmi: Nel 2015 entrano in Grafica Veneta due ditte in appalto. Una che impiega esclusivamente donne rumene, la So-Giu Scarl, e la (famigerata) Bm Services Sas, di proprietà di due pachistani e con solo lavoratori pachistani. Nella stampa dei libri il finissaggio – apposizione di fascette, adesivi o sovra-copertine, finalizzati a promuovere le vendite – viene eseguito a mano ed è soggetto a picchi lavorativi. Un lavoro povero e discontinuo che può essere appaltato senza troppi problemi. La stessa forma cooperativa è puramente strumentale.
La Bm Services, che si propone come “professionisti del mondo dell’editoria”, ha sede legale a Lavis (Trento), curiosamente come altre aziende del settore concorrenti di Grafica Veneta – Lego, Lego Digit, Esperia, Alcione, Elcograf e la Printer Trento –, opera in diverse di queste aziende, applicando peraltro ai dipendenti, inopinatamente, il contratto metalmeccanico. Sin qui non è emerso a sufficienza che la Bm Services ha appalti con tutte le maggiori ditte del settore, e continua ad acquisirne.
Boschiero: Franceschi ha rilasciato in questi giorni alcune interviste imbarazzanti, dove si lascia andare a considerazioni razziste: «I pachistani sono un po’ così, pulizia e bellezza non è che facciano parte della loro cultura…», e afferma che d’ora in poi non intende più servirsi di loro e che assumerà solo veneti doc: «Il nostro territorio è un po’ traumatizzato da questa presenza. Non ce la sentiamo di assumere gente che non vive qui, perché la nostra è come fosse una famiglia…».
Atalmi: Franceschi riaccende una polemica culturalmente devastante e danneggia l’immagine della stessa azienda. Anche qui realtà e finzione si rincorrono, perché Grafica Veneta non è e non è mai stata un’azienda “padana”. Dei trecentonovantaquattro dipendenti dello stabilimento di Trebaseleghe, duecentoquarantanove sono italiani, ma centoquarantacinque vengono da Romania, Marocco, Albania, Filippine, Senegal, Bielorussia, Egitto, Ucraina… E neppure è vero che occupa solo lavoratori diretti, vi è una forte presenza di lavoratori interinali.
Ancora un aneddoto. Nell’incontro estivo di cui dicevo, alla nostra richiesta di assumere i pachistani, se non per dovere morale, almeno per evitare campagne di boicottaggio internazionale – erano in corso di stampa i libri di papa Francesco e della Merkel, e già alcuni scrittori italiani avevano diffidato le loro case editrici a servirsi di Grafica –, il patron rispose con disarmante franchezza: «Più che il boicottaggio internazionale io non dormo la notte perché in piazza a Trebaseleghe la gente mi guarda e magari è convinta che sia io ad aver permesso quelle cose in fabbrica».
L’indagine sul capitalismo flessibile in Veneto di Alfredo Boschiero continua.