Grafica veneta: Adl-Cobas esclusa dall’accordo
Intervista a Luca Dall’Agnol
di Emanuele Caon
Il 3 maggio 2022 OPM ha intervistato Luca Dall’Agnol di Adl-Cobas. Cresciuto politicamente nei movimenti padovani e con una formazione da ricercatore alle spalle, Luca fa parte del sindacato di base dal 2015. Si tratta di uno dei testimoni privilegiati della vicenda di Grafica veneta.
OPM: In che modo siete venuti in contatto con il gruppo di lavoratori di origine pachistana impiegato in Grafica veneta? Li avete cercati voi? O è successo l’opposto?
Luca Dall’Agnol: Faccio una premessa, a seguito degli arresti dei titolari di Bm services, Gv dà l’immediata disdetta del contratto d’appalto e tutti questi lavoratori si trovano senza una prospettiva di lavoro e con la paura di non percepire lo stipendio. Per quello si sono presentati nella nostra sede il 28 luglio, due giorni dopo gli arresti e ci hanno spiegato la situazione. L’azienda e un’organizzazione sindacale si erano accordate per chiudere immediatamente la vicenda. Ai lavoratori sarebbero spettate delle somme di denaro molto ridotte, un contratto a termine di quattro mesi, corsi di italiano, un aiuto nella ricerca della casa (molti di loro vivevano in una casa presa in affitto da Bm services, che chiedeva 120 euro a testa a 20 persone, pagando alla proprietaria un affitto di 800 euro al mese). Considerando le notizie che giravano, e che loro stessi ci hanno confermato – molti lavoravano 12 ore al giorno per 27 o 28 giorni al mese –, ci è sembrato un accordo che, più che tutelare i lavoratori, serviva all’azienda a tutelarsi a livello d’immagine (e probabilmente penale). Ma gli stessi lavoratori si sono rivolti a noi perché avevano visto in quell’accordo, proposto a loro poche ore dopo gli arresti, una fregatura.
Avevamo capito subito che era una cosa grossa. Così il giorno dopo abbiamo visto tutti i lavoratori a una riunione, erano più di una ventina, quasi tutti di origine pachistana, mentre alcuni provenivano dall’Africa sub-sahariana. Questi ultimi erano richiedenti asilo con i quali la comunicazione era particolarmente difficile. Alcuni pachistani parlavano un po’ di italiano, con gli altri ci siamo fatti aiutare da un delegato che parla urdu. Così abbiamo capito che avevamo davanti una vicenda estremamente grave in cui erano coinvolte Grafica veneta e Barizza international [legatoria di lusso che condivideva la sede con la Bm services, l’azienda accusata di caporalato per la vicenda Grafica veneta N.d.R.].
Dopo aver raccolto le iscrizioni decidiamo di andare davanti a Grafica veneta con striscione e megafono per bloccare il tentativo di chiudere la faccenda con un accordo così vantaggioso per l’azienda. Dai cancelli è uscito l’avvocato Spata, che sarà uno dei protagonisti della vicenda. Oltre che di Grafica veneta è l’avvocato anche di un’organizzazione sindacale, il Sindacato lavoro e società (Sls), che guarda caso “stranamente” coincide con la sigla dello Studio legale Spata. Spata ci ha invitato nel suo studio per trovare un accordo, precisando che ce n’era uno già pronto, anche se non ce l’ha fatto vedere. I termini sono quelli che ho citato prima. Così gli contestiamo che 4 mesi di contratto sono meno del minimo (6 mesi) per garantire il diritto di precedenza di assunzione. E alcuni lavoratori sono là da quattro anni. Così proponiamo di rivedere l’accordo, ma Spata dice che non vuole partecipare a un’asta al rialzo tra noi e Slc-Cgil (Sindacato lavoratori della comunicazione). Così il tavolo di trattativa si è rotto immediatamente, ed è cominciata la mobilitazione.
OPM: In un caso come questo la vertenza e l’azione legale sono solo una parte dell’iniziativa sindacale. Puoi raccontarci che cosa ha fatto l’Adl per sostenere e difendere il gruppo di lavoratori?
Dall’Agnol: I lavoratori di origine pachistana si sono rivolti ad Adl perché abbiamo da anni un grande radicamento tra i migranti, oltre una serie di vittorie alle spalle. Adl nasce dalle lotte antirazziste della fine degli anni Novanta. Ed è proprio attraverso i migranti con cui facevano lavoro sociale che siamo arrivati al far west della logistica, dove i lavoratori non trovavano risposte nei sindacati confederali che spesso non erano incisivi, se non complici.
Calcoliamo anche che i pachistani a Padova non sono numerosi, qualche centinaio con legami sociali derivanti soprattutto dalle catene migratorie, persone che si aiutano ma che non rappresentano una vera e propria “comunità”. In questa situazione abbiamo portato il nostro modo di fare sindacato, che non è strettamente vertenziale. Un sindacalismo sociale in cui cerchiamo di attivarci su tutti i fronti della vita delle persone, e in questo caso c’erano dei bisogni immediati a cui rispondere: si trovavano fuori dall’azienda, senza un contratto, senza ammortizzatori sociali (verranno attivati solo in agosto) e con il rischio di perdere la casa, dato che i titolari di Bm services che subaffittavano erano in carcere. A un certo punto gli hanno anche staccato le utenze, e noi gli abbiamo portato un generatore. Abbiamo anche fatto da garanti per un nuovo contratto d’affitto con la proprietaria. Poi ci siamo occupati dei permessi di soggiorno: alcuni erano in scadenza o scaduti, mentre i richiedenti asilo avevano procedure aperte in diverse parti d’Italia, abbiamo mobilitato la rete di Adl per questo e gestito i rapporti con la questura di Padova.
Parallelamente ci siamo mossi anche sulla reputazione del committente: Franceschi negli anni ha costruito l’immagine di un self-made man da rotocalco, raccontando Gv come un’azienda modello, green, con un servizio di counseling psicologico e un barbiere a disposizione dei dipendenti. Un’impresa che non ha bisogno di sindacati, è sufficiente il buon cuore di un imprenditore che non se n’è andato dal suo piccolo paese, che fa tanto per il bene del territorio. L’inchiesta della magistratura ha aperto una crepa in questo quadretto. Su questo aspetto abbiamo avuto alcuni successi indiscutibili. Papa Francesco ha ripreso la lettera di Maurizio Maggiani sulla vicenda, chiedendo di portare «alla luce le manovre oscure che in nome del dio denaro soffocano la dignità dell’essere umano». Poi c’è stata la petizione dello scrittore Massimo Carlotto, che ha raccolto tante firme, anche se sia lui che noi ci aspettavamo che fossero di più, data la gravità dei fatti. Lo stesso si può dire per le testate nazionali, ogni tanto ne hanno parlato, ma non abbastanza.
OPM: Legato a questo aspetto ci è sorta una domanda: se abbiamo capito bene Gv ha circa 500 dipendenti, la stragrande maggioranza dei quali ha un contratto più tutelante e condizioni di lavoro tutto sommato decenti. Per quale motivo allora ha deciso di appaltare una parte delle attività per 270.000 euro l’anno per pagare venti lavoratori? Il rischio per l’immagine non è troppo grande per un risparmio che, nel bilancio dell’azienda, non fa certo la differenza?
Dall’Agnol: Sono d’accordo. Quei lavoratori avrebbero dovuto pagarli molto di più, chiaramente, ma il dato economico non spiega la vicenda, anche se grazie a quest’appalto abbiamo stimato che Gv ha risparmiato in 5 anni 2 milioni di euro. Grazie alla crescita del mercato del libro e alle mascherine tra il 2019 e il 2020 l’azienda ha duplicato il fatturato, da 70-80 milioni a 170. Nel 2021 ha poi acquisito un’azienda negli Stati Uniti.
Le condizioni di lavoro dei lavoratori sottoposti a caporalato sono determinate da due fattori: da un lato il sistema degli appalti, che rende possibili simili schiacciamenti del costo del lavoro; dall’altro un razzismo che consentiva di ignorare il fatto che quei lavoratori venissero trattati molto peggio degli altri. La direzione sapeva quanti lavoravano in quel reparto, sapendo la cifra dell’appalto potevano immaginare i salari, e non dimentichiamo che avevano i badge per registrare entrate e uscite. Ma alla dirigenza non interessava, erano pachistani. Le successive frasi razziste di Franceschi confermano questa interpretazione.
OPM: Nel nostro numero 4 Alfiero Boschiero ha intervistato Nicola Atalmi, sindacalista della Slc-Cgil che ha detto: «La direzione ha deciso di costruire un “bantustan pachistano”, ha recintato cioè uno spazio separato con delle reti termosaldate, all’interno del quale potevano operare solo i lavoratori di Bm services». Vi risulta una simile segregazione rispetto agli altri lavoratori?
Dall’Agnol: A me non risulta, nessun lavoratore ci ha parlato di questo “bantustan”. Molti lavoravano fianco a fianco con altri lavoratori, che evidentemente non si interessavano troppo delle condizioni dei loro colleghi, eppure dovevano sapere che stavano in magazzino 12 ore al giorno… Tra l’altro durante un’iniziativa su Gv della Camera del lavoro uno di Slc-Cgil ha detto che conosceva uno dei lavoratori pachistani, Alì [abbiamo sostituito il nome del lavoratore con uno di fantasia N.d.R.], che l’aveva formato lui. A ogni modo, se fosse vero quello che dice Atalmi, il silenzio della Slc-Cgil sulle condizioni di sfruttamento di questi lavoratori sarebbe semplicemente vergognoso.
OPM: Questo interesse non si è manifestato neanche dopo che la vicenda è diventata di dominio pubblico?
Dall’Agnol: Qualche messaggio di solidarietà da singoli lavoratori è arrivato, spesso anonimo. C’era scritto che in azienda il clima era pesante, che non potevano esporsi pubblicamente. Anche qualcuno del territorio ha provato a mettersi in contatto, pochi, a dire il vero. A Trebaseleghe sono rimasti in silenzio, l’amministrazione cittadina è stata molto neutrale, coprendo di fatto l’azienda, senza dare aiuti ai lavoratori. Il resto del paese ha solidarizzato con Franceschi, uno che va ancora a giocare a carte al bar del paese, e abita a meno di un chilometro dalla casa dei lavoratori di Bm services.
Nel territorio il razzismo, inteso come inclusione subalterna dei migranti, è forte e radicato, forse se si fosse trattato di italiani le cose sarebbero andate diversamente.
OPM: Raccontaci com’è andata la vertenza.
Dall’Agnol: La conduzione della trattativa da parte dell’azienda è stata vergognosa. Non sono mancate le menzogne, con cui sono state prese in giro anche le istituzioni, come il prefetto, e, più in generale, hanno cercato di dilatare i tempi il più possibile per arrivare a un patteggiamento. Nei primi incontri Spata, che rappresentava l’azienda, ripeteva che Gv aveva perso delle commesse e non aveva necessità di assumere altre persone, anzi, stava automatizzando dei processi e non avrebbero più dato in appalto niente, servendosi al massimo di agenzie interinali. Tutto questo negando sempre che le persone coinvolte nella vicenda lavorassero per l’azienda, nonostante le intercettazioni, i badge e le altre prove. La linea era che non erano 20, al massimo 10 che si passavano il badge…
Abbiamo sempre chiesto l’assunzione per chi lavorava a tempo indeterminato e contratti a termine per chi aveva avuto contratti molto brevi. Era il caso dei richiedenti asilo sub-sahariani, alcuni dei quali avevano cominciato a lavorare in Gv a luglio 2021. Insomma eravamo disposti a valutare la situazione di ogni persona coinvolta in modo differente.
In agosto abbiamo fatto anche iniziative con la Fiom, che rappresentava alcuni dei lavoratori di Bm services, gli obiettivi erano gli stessi. Durante la vertenza congiunta abbiamo percepito tensioni interne alla Cgil, in particolare con Slc.
Arriviamo al 15 settembre, c’è un incontro in prefettura in cui sembra sbloccarsi la trattativa. Spata riconosce le evidenze sui badge e si dice disposto ad accettare le nostre richieste la mattina successiva. Il prefetto si presenta addirittura con dei pasticcini per tutti, per addolcire la convocazione di mattina presto. Ma in quel momento riceviamo la conferma di voci che giravano dalla sera prima. Gv ha cambiato idea, prima di fare qualsiasi accordo Franceschi vuole aspettare l’esito del patteggiamento. Offrivano 700 euro a ogni lavoratore per superare il momento difficile, ma chiedevano di non fare iniziative e di non fare uscire niente sui giornali fino al nuovo accordo. Noi abbiamo rispedito la risposta al mittente ed è saltato tutto.
A metà ottobre sono arrivate le dichiarazioni razziste di Franceschi, i pachistani che non si lavano, l’hanno truffato. Dice di voler assumere solo veneti d’ora in poi. Viene fuori tutta la mentalità da piantagione: i lavoratori stranieri vanno bene solo finché stanno in silenzio. È già tanto che gli danno lavoro, cosa vogliono di più?
Frasi che hanno fatto scalpore, mentre la nostra campagna è andata avanti, a dicembre siamo stati a Più libri più liberi, la fiera dell’editoria indipendente a Roma. Siamo stati intervistati dalla trasmissione Fahrenheit [su Radio 3, N.d.R.] da Loredana Lipperini insieme a Christian Raimo, Paolo di Paolo e Massimo Carlotto. Abbiamo fatto iniziative e picchetti davanti all’azienda, un corteo a Trebaseleghe. E siamo andati avanti con le cause per l’appalto illecito e per riottenere le differenze retributive. La Fiom invece ha fatto causa per le frasi razziste. Abbiamo fatto concerti, svariate iniziative per raccogliere fondi, che sono andate bene e mettevano in cattiva luce Franceschi.
Nel frattempo, arrivata la cassa integrazione, ai lavoratori sono cominciati ad arrivare un po’ di soldi, alcuni hanno trovato altri lavori e così abbiamo continuato a lottare, finché siamo arrivati all’epilogo della vicenda.
OPM: Prima di arrivare alla conclusione ti chiederei di raccontarci qualcosa della coscienza politica dei lavoratori pachistani. Erano persone politicizzate, lo sono diventate durante la vertenza?
Dall’Agnol: Non si può dire che sia stata una comunità solidale con cui avevamo rapporti quotidiani, con alcuni di loro però sì. Oltre a tutto l’aiuto per le esigenze quotidiane come la casa, il reddito, la ricerca del lavoro, abbiamo organizzato incontri settimanali con i quali il rapporto si è via via stretto. E sono venuti anche ad altre iniziative con noi. Ricordo per esempio il Convegno 8×5 a Prato, organizzato dai lavoratori del tessile, con cui si sono confrontati.
In ogni caso non avevano sicuramente una storia politica prima di iniziare la lotta. Durante la vertenza hanno sperimentato cosa significa lottare, partecipare a un’associazione di militanti, dare e ricevere una solidarietà vera. Ma non è semplice includere le persone a partire dalle lotte. Sicuramente molti di loro hanno compreso di avere alcuni diritti, che insieme si è più forti per farli valere ma, se vogliamo parlare di un processo di soggettivazione, eravamo ancora alle basi. Su questo credo pesi anche la biografia di questi lavoratori: erano quasi tutti uomini senza famiglia in Italia, con progetti di vita che non prevedevano quasi mai di rimanere nel nostro paese. Le famiglie spesso erano in Pakistan, e molti puntavano a tornarci prima o poi. Dunque questo forse ha pesato anche sulle persone con una scolarizzazione ottima (qualcuno aveva un master preso in Inghilterra) o comunque con una buona esperienza imprenditoriale (uno era stato titolare di un’assicurazione privata in Pakistan). Non erano ancora convinti di voler mettere radici qui, ci stavamo lavorando.
OPM: E cos’è successo?
Dall’Agnol: A febbraio, qualche giorno prima dell’udienza per le frasi razziste, cominciano a succedere cose strane. Uno dei lavoratori pachistani, che in quel momento non era in Italia, ci dice che a Trebaseleghe sono comparsi i rappresentanti di un’associazione pachistana che si sono messi a disposizione per risolvere la questione. Contattiamo immediatamente i lavoratori pachistani, che confermano questa cosa ma stanno un po’ sul vago, un comportamento strano, di solito ci dicevano tutto e subito. Non sentiamo più niente, loro fanno un incontro a cui non veniamo invitati. La domenica sul giornale escono le foto di Franceschi nella moschea di Padova, a piedi nudi che dispensa abbracci e rivendica di non essere razzista. Dice anche che ha bisogno di assumere 100 persone perché l’azienda è in crescita, smentendo la linea che aveva portato avanti fino a quel momento. È anche disponibile ad assumere i lavoratori coinvolti nella vicenda di Bm services. Un modo spregiudicato di rifarsi la verginità prima del processo per le frasi razziste. Poi succede tutto in un lampo: non facciamo in tempo a discutere il da farsi che il lavoratore che ci aveva avvertito ci dice che il giorno dopo andranno in azienda a firmare un accordo per tornare a lavorare. Io mi metto a disposizione, sto fuori da Gv nel caso in cui mi vogliano chiedere consiglio, ma non esce nessuno. Alla fine la base dell’accordo è quella che avevamo proposto noi: contratti a tempo indeterminato e a termine. Il risarcimento per compensare le differenze retributive è basso, appena diecimila euro a lavoratore (secondo i nostri calcoli alcuni avevano diritto a più di centomila euro).
Da una parte siamo felici per l’esito, ma lo viviamo come un tradimento. Capiamo che volessero chiudere la vicenda, tornare a lavorare, anche senza passare da noi, dato che forse il conflitto aveva reso un accordo con noi indigeribile per l’azienda. Se ci avessero avvisato sarebbe stato tutto diverso, avremmo potuto trovare il modo di far entrare Adl in Gv nel giro di qualche anno, con le acque più calme. Ma ci hanno detto troppe mezze verità, e qualche bugia. Il giorno della firma dell’accordo alla nostra Pec [Posta elettronica certificata N.d.R.] sono arrivate le disdette dall’associazione sindacale… Non crediamo ci siano dietro grandi macchinazioni, semplicemente un comportamento molto opportunistico che l’azienda ha sfruttato per pulirsi l’immagine davanti alla prospettiva di un processo estremamente serio dal punto di vista della reputazione. Poi si trattava di lavoratori che conoscevano già le mansioni per cui sono stati assunti, convenienti per Gv anche da questo punto di vista.
OPM: Vi siete confrontati con questa associazione? Vi siete fatti un’idea del perché si sia prestata?
Dall’Agnol: Appena dopo l’accordo abbiamo chiesto un chiarimento con i lavoratori a Trebaseleghe. C’era anche l’associazione pachistana, hanno parlato soprattutto loro. Ci hanno ringraziato per quello che abbiamo fatto ma hanno rivendicato di essere riusciti a fare quello che noi non siamo riusciti. Sul perché si siano prestati, possiamo fare solo supposizioni, certo sarebbe interessante vedere i conti dell’associazione… A noi rimane l’amarezza di un rapporto così intenso con i lavoratori rotto definitivamente, al momento non sappiamo neanche se lavorano ancora a Gv.
OPM: Non ci pare la prima volta che una vicenda si conclude in questo modo. Un sindacato di base, magari anche coordinandosi con altri sindacati (e in particolare la Cgil), porta avanti mesi di lotte con cui si arriva a ottenere un risultato significativo, ma alla fine – in un modo o nell’altro – viene escluso all’ultimo momento. Questa volta però è successo in modo particolarmente esplicito.
Dall’Agnol: È vero che a volte le vertenze si chiudono male, non è la prima volta e non sarà l’ultima, noi siamo preparati. Abbiamo la coscienza a posto, abbiamo fatto del nostro meglio, sia nella lotta che nel supporto dei lavoratori. E la vertenza ha portato a risultati concreti. Poi sul piano delle relazioni rimangono rimpianti e amarezza per le scelte dei lavoratori… Su un altro piano: è vero che i datori di lavoro preferiscono organizzazioni sindacali che garantiscono una maggiore pace sociale, che non si impegnano in lotte dure come le nostre. Così si trovano a firmare accordi sindacati con una presenza minoritaria, come nel caso delle reinternalizzazioni di Fedex a Padova e Bologna. Anche qui ci sono state scelte opportunistiche, capita, ma non così spesso. In tanti posti di lavoro abbiamo la forza di imporre accordi. Questo caso è un po’ diverso dato che siamo intervenuti quando i lavoratori si trovavano già fuori da Gv. In alcuni settori sperimentiamo una guerra continua contro il sindacato di base, le controparti, la Cgil e altri confederali fanno di tutto per buttarci fuori, scambiandosi riconoscimento e favori per escluderci.
Mi è successo tante volte di incontrare lavoratori con un problema che è stato risolto in poco tempo da un accordo che aveva l’obiettivo di non farci entrare in un’azienda. Poi si fanno girare voci, come quella che se sei iscritto a un sindacato di base non puoi essere assunto, o che in caso di cambio d’appalto sei automaticamente fuori dal successivo.La Fiom in questo senso è un caso particolare. Nella vertenze Gv i suoi iscritti hanno firmato l’accordo finale e il sindacato ha ritirato la causa per le frasi razziste. Ma, più in generale, nel tempo siamo riusciti a costruire un rapporto con loro, che spesso si muovono in modo autonomo rispetto al resto della Cgil. Non abbiamo accordi strutturati, gli obiettivi sindacali e politici sono diversi e su legalità e nocività abbiamo differenze importanti, ma con alcuni funzionari si riescono a costruire iniziative comuni su obiettivi concreti, a costruire convergenze su singole vertenze. Con il resto delle sigle sindacali questo è impossibile.